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    Tu stiv 'nziem a nat, je te guardajie/ e primma e da 'o tiemp all'uocchie pe sa nnammurà/ già s'era fatt annanz o core: "A ME, A ME!" .../ o ssaje comm fa o' core quann s'é nnammurat!/ Tu stiv nziem a mme, je te guardav e me ricev:/ "Ma comm sarrà succiess, ch'è frnut? Ma io nun m'arrend, ci voglio pruvà!"/ pò se facette annanze o core e me ricette: "vuò pruvà? E pruov, je me ne vac..."/ o ssaje comm fa o core quann s'è sbagliat...! MASSIMO TROISI

Mettere un potenziale a disposizione e vederlo morire

79f6ddb080fc85af92f9e1382d9fea86Non è affatto una questione di prospettive e di entusiasmi. E’ l’osservare oggettivamente ciò che accade. Nei miei tanti hobby che ho scoperto di avere, non avendo una collocazione precisa, un prefisso o un suffisso da apporre al mio nome durante le presentazioni, lo tocco con mano: avere un potenziale naturale, riconosciuto e supportato da studi ed interessi che non riesce ad esprimersi e viene limitato dalle inevitabili strade costruite dalla realtà è un dato di fatto.

E’ tutta una questione di scelte effettuate nel tempo, di fiducia riposta, ma è anche una questione di sensibilità dei “terzi” delle dinamiche che non sono purtroppo date o conosciute.

Proprio ieri ne parlavo con degli amici: l’insiemistica spiega molto, spiega tutto. Ed è vero. Tutti appartengono ad insiemi ben definiti con elementi omogenei che collaborano tra loro perchè si riconoscono.

Cosa accade se, invece, di punto in bianco all’interno di uno si questi insiemi se ne crea un altro?  Facile, gli equilibri saltano, si rimodellano, si ricompongono, ti includono, ti escludono…

Nella vita accade sempre. Mentre si è lì a costruire qualcosa, arriva la svolta e la corsa in avanti per pochi o per uno. Gli altri restano indietro. Ma non dietro le tende a continuare a contribuire, si resta fuori dal nuovo insieme costituito.

Scatta così la pazienza, l’attesa, l’accontentarsi e cercare di produrre il massimo con le proprie forze. Ma poi si arriva a sentire il peso della “panchina” e a vedere il proprio potenziale inutilizzato, incapaci di immetterlo in altri progetti perchè, in fondo, quel progetto era sentito come la propria realizzazione di un sogno condiviso.

Che fare? Il primo consiglio è rendersene conto. Il secondo è avere coraggio. Il terzo è parlare. Il quarto è non abbattersi. Il quinto è credere. Il sesto è rischiare.

Da soli si è inimmaginabilmente forti, e non fa nulla se quell’hub sulla via meno battuta non era fatto per te (certo, bisogna tenersi stretto il proprio). Bisogna continuare sempre a consumarsi le scarpe lungo il cammino della vita, cercare, provare, intestardirsi, ricominciare (sulla base del proprio costrutto) fermarsi, riprendere.

Certo essere testardi e propositivi è difficile, essere sicuri del fatto di avere delle indiscusse potenzailità pure. Io ho spazi per esprimermi, responsabilità (a volte troppo sottili) e, purtroppo, ritmi lavorativi molto veloci che sono difficili da mantenere.

Dipende da me. Vorrei decisamente fare di più. Riconosco nel mio insieme di poter fare di più, di aver fatto di più in passato, di vivere la dematerializzazione inversa in un modo troppo sofferente.

Sono considerazioni che ho fatto a margine di un articolo sul patrimonio artistico italiano che si sta dissolvendo nella noncuranza di tutti. E il parellelismo è stato immediato.

Sono un copywriter – content producer – editor in cerca di titolo, di fissa dimora. Alla mia età il freelancing è insopportabilmente destabilizzante.

Da zero a cento per poi scendere a -92 in una frazione di click fa paura a tutti, ma c’è la differenza di base, ho la fortuna di avere un insieme di base, che non lascerò mai e che non mi lascerà mai cadere.

Ma dopo la constatazione, bisogna passare all’azione. Anche perchè #questaèlamiaterra #lamiatrincea

scrivere

Non e’ uguale per tutti, come e’ giusto che sia. Siamo tutti diversi ed e’ la bellezza del genere umano sano.
Ognuno ha un approccio diverso alle passioni, alla vita e al mondo.
Oggi mi sono ritrovata piu’ volte a pensare a come era l’odore della macchina per scrivere, quel nastro che ti ombrava le dita, il cambio per cambiare colore, le levette per andare accapo, i fogliettini per fare le correzioni.
Un mondo stupendo, meraviglioso, un mondo in cui sono cresciuta e mi sono evoluta, ho preso coscienza delle mie passioni, dei miei amori e della mia vita. Spostando quella valigetta pesante con la typewriter dentro, mi sentivo gia’ grande.
E le mie dita non hanno piu’ lasciato una tastiera, sia essa fisica o virtuale. Non hanno mai tradito la passione che sta alla base di tutto.
Si sogna ad occhi aperti, perche’ i veri sognatori non dormono mai.
E’ vero. Non si dorme, si lavora, si pensa, si condivide.. ecco un punto fondamentale. Si condivide perche’ si ha la fortuna di trovare qualcuno che ci capisce, ci comprende e vive allo stesso modo.
I ritmi del cuore vanno necessariamente assieme ai ritmi della passione…
Si va avanti e si costruisce ancora, non si vuole mai smettere.
L’incontenibile bisogno di scrivere, questo il sottotitolo del mio blog. Questa e’ la vita che ho scelto tra tante.
E sono pronta a rifere le stesse scelte, i segni restano indelebili sulla pelle e sull’anima.

Mi sento a casa.

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Riprendersi quello che si è

Non è un errore, è volutamente così: ci si riprendere quello che si è. Si ritorna ad essere sé stessi, quel sè troppe volte modificato e riposto, quel sè adattato alle curve della vita, che portano non si sa dove, ma fin troppo spesso lontano da dove è partita. E ci sono momenti in cui non si sa più cosa si è, se la strada che si sta percorrendo è quella giusta o meno… molti la chiamano crisi di mezza età. No, non è così: è fermarsi e considerare dove si è, il cammino fatto e dove si sta andando. E’ la maturità che torna ad emergere. E’ la sicurezza in sé stessi.

Finchè qualcuno crede in te e lo dimostra, ci si riprende quello che si è. Senza indugi, non si perde tempo.

 

E poi quando ci si sente

 

 

Forse è finito il tempo di correre

E’ tra le cose peggiori che possa accadere. Si va in stallo.

Non sono considerazion facili e veloci da fare. In genere c’è un percorso ragionato che conduce a quelle conclusioni, a quei determinati stati d’animo che ti fanno senrtire fermo ad un bivio.

Un po’ come I see Fire di Ed Sheeran: I hope you’ll remember me, I got too close to the flame.

La desolazione viene dal cielo, sottoforma di drago che plana sul villaggio e porta con sé distruzione e scompiglio.

Quando ci si ritrova da soli e ci si sente tali, scatta inevitabilmente anche la sensazione in base alla quale una persona inizia ad essere fastidiosa, mentre si ostina a voler vivere la vita di prima, a cercare di rientrare in un progetto che con forza costante ed impercettibile ti ha spinto fuori.

La vita evolve. E’ vero. Ci si re-inventa ogni giorno. Ma se ciò avviene per tua scelta, la cosa è bella e incentivante. Se l’evoluzione ti avviene intorno e non conosci tutti i motivi, l’evoluzione ti lascia interdetto.

Bilbo non aveva tutti i torti, c’è sempre pericolo quando si esce di casa, la via parte e non sai dove ti condurrà. E’ la vita che passa. Lungo la strada si trovano persone che la percorrono con te, se si è fortunati queste persone continuano a starti vicino, anche se non come in precedenza.

Si cresce e si cambia. Ma prima, ci si sente soli. E’ inevitabile. Intanto si aspetta.

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Funari, da un mese in ospedale

La moglie: “viviamo giorno per giorno”

“E’ forse il momento più difficile della mia vita. Siamo qui da un mese. Si vive giorno per giorno”. Morena Zapparoli, da cinque anni moglie di Gianfranco Funari, parla in esclusiva al settimanale Diva e donna della situazione critica del marito, ricoverato da un mese al San Raffaele di Milano, reparto di rianimazione, unità coronarica. “Siamo venuti qui per dei controlli, un check up generico. Improvvisamente tutti i valori sono caduti.

Adesso va un po’ meglio”, continua la moglie del famoso conduttore tv, che ha quattro bypass; “lo avevano messo in coma farmacologico e ora i valori sono tornati buoni”. Funari, seppur provato, sembra forte e parla di lavoro, con Morena sempre accanto.

AGGIORNAMENTO 2-04-2008

Pare che Funari stia nettamente meglio e commosso per il tanto amore ricevuto in questo periodo difficile, voglia addirittura avere un figlio…. intanto però è sempre ricoverato nel reparto semi-intensivo…ed intanto continua a rilasciare interviste in esclusiva a Diva&Donna…

Credere…per noi stessi

Per non perdere la brocca…. e non solo…

(AGI) – Londra – Avere fede in Dio fa bene alla salutementale degli individui. Infatti, le persone che credono in una religione sono molto piu’ felici degli atei, in quanto riescono a fronteggiare meglio le difficolta’ della vita, come un licenziamento o un divorzio. Queste, in sintesi, le conclusioni di uno studio presentato in una conferenza della Royal Economic Society. Secondo l’analisi dei dati raccolti su migliaia di europei, i ricercatori hanno dimostrato che i credenti sono molto piu’ soddisfatti della propria vita. Secondo i ricercatori, quindi credere in Dio offre degli indubbi vantaggi per affronatere i problemi della quotidianeta’. La religione e’ come un ‘tampone’ che aiuta i fedeli a proteggersi dalle delusioni della vita. All’inizio la ricerca ha focalizzato l’attenzione sulla relazione tra sussidio di disoccupazione e felicita’, analizzando le differenze fra i vari paesi europei. Poi, i ricercatori si sono resi conto che gli individui disoccupati subivano minor danni psicologi se erano religiosi, anziche’ se avevano un generoso sussidio di disoccupazione. ”I credenti avevano piu’ elevati livelli di soddisfazione della vita”, ha detto Andrew Clark, coordinatore dello studio.